La doccia e la fotografia condividono l’epoca d’origine. Sono infatti state inventate nella seconda metà dell’800, ma è una relazione con altri punti in comune. Vediamo quali…
Ci sono oggetti che entrano in silenzio nella nostra vita e restano lì, come se ci fossero sempre stati. La doccia è uno di questi. Non fa rumore nella storia, eppure la attraversa. È figlia dell’Ottocento, proprio come la fotografia. Due invenzioni nate con la modernità: una per lavare via il sudore del lavoro, l’altra per fermarne l’immagine.
La doccia arriva prima nelle carceri, nelle caserme e negli ospedali, poi lentamente entra nelle case. È funzionale, rapida, urbana. La fotografia, nel frattempo, prova a fissare la realtà su una lastra: anch’essa ha bisogno di acqua, di luce controllata, di tempi precisi. Non è un caso che spesso le due si siano ritrovate nello stesso posto: il bagno.
Già, perché per tanti fotografi – dilettanti, studenti, giornalisti – il bagno è stato la prima camera oscura. Si tappava la porta con asciugamani, si copriva la finestra con carta nera o stagnola, si accendeva una luce rossa sopra il lavandino, si sistemavano le bacinelle sul bordo della vasca o accanto alla doccia. E lì, in silenzio, si aspettava che le immagini venissero alla luce. Acqua e pellicola, sapone e fissatore: due rituali paralleli, fatti di mani che sanno aspettare.
Poi ci sono le immagini
Poi ci sono le immagini, quelle vere, quelle che raccontano. Una donna che si lava i capelli nella doccia, fotografata da Ruth Orkin negli anni ’50, ha la bellezza di un gesto quotidiano che diventa arte. È sola, concentrata, distante dal mondo: un’icona dell’autonomia femminile.
Impossibile non pensare alla celebre scena della doccia in Psycho di Hitchcock: il terrore entra proprio lì, nel momento più intimo, quando siamo indifesi. La macchina da presa si fa occhio che spia, e la fotografia diventa tensione, vulnerabilità.
E poi ci sono le docce improvvisate nei reportage: come quella scattata da Steve McCurry in un campo profughi, dove un ragazzo si sciacqua il viso sotto un filo d’acqua. Lì la doccia non è solo pulizia, ma dignità, sopravvivenza, resistenza.
Chi vuole cercare queste immagini, le trova ancora oggi nei grandi archivi online – Magnum Photos, Getty, il MoMA, l’International Center of Photography – oppure tra le pagine dei libri, nei fotogrammi dei film, tra le righe della memoria.
La doccia come set fotografico
Oggi la doccia è diventata anche scena: vetri trasparenti, luci direzionali, materiali che riflettono e raccontano. Nei cataloghi d’arredo bagno, ogni spazio è pensato come se fosse già una fotografia: cornice, luce, punto di vista. Anche sui social, tra selfie e riflessi, la doccia è tornata a essere spazio narrativo.
Forse perché lì, tra le gocce d’acqua e il vapore, succede qualcosa che assomiglia molto a uno scatto ben riuscito: ci si ferma un attimo, si lascia andare il superfluo, e ci si guarda davvero.
DIDA FOTO: Freddie Mercury in uno degli scatti di Peter Hince, che dal 1975 ha seguito Freddie e la band in tutte le tournée, raccogliendo immagini esclusive dal palco e fuori dal palco. La foto di Hince è stata ri-fotografata a Lucca il 29 giugno 2025 in occasione della mostra www.queenunseen.it